Per raggiungere le quote più alte dell’Etna, bisogna attraversare i paesini pedemontani che si snodano ai piedi del gigante siciliano.

Bisogna percorrere le diverse vie Etnea e toccare il cuore delle cittadine di lava, tutte a nord di Catania, città barocca, alcune contaminate dall’urbanizzazione che ha spostato il confine della città, altre, invece, ancora in perfetta armonia col vulcano.

Proprio questo legame fra il vulcano, da queste parti declinato al femminile come “montagna”, e la sua gente, appare come la conferma di quel “valore culturale” descritto dall’UNESCO fra le motivazioni che hanno condotto all’inserimento dell’Etna fra i siti patrimonio dell’umanità.

Quel legame lo narra la pietra, aspra e ostile, divenuta monumento, con cui l’uomo ha lastricato di basole nere le strade, e realizzato case, roccia su roccia, che ha poi intonacato di rosa, di ruggine, di celeste o che ha lasciato nere, il colore della lava raffreddata. E l’ha utilizzata per gli stipiti, i portali, i capitelli, i decori, i mascheroni con le linguacce a vista per tenere i guai fuori dall’uscio.

Lo raccontano le vigne, terrazzate sui vecchi crateri spenti, da cui si estrae un vino doc che i viaggiatori chiamano “nettare degli dei”.

“Uno dei vulcani più emblematici e attivi del mondo di cui si scrive da 2.700 anni.” Così nel documento ufficiale UNESCO, col pensiero che corre a Omero e Pindaro, e poi a Virgilio e Goethe, per giungere a  Guy de Maupassant e De Amicis. “Il momento supremo della mia vita” disse un estasiato Imperatore Adriano dalla vetta ammirando il sorgere del sole.

(continua)

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